Nelle nostre sale operatorie non sono rari gli interventi non urgenti rinviati per un numero insufficiente di sacche di sangue a disposizione. Mentre gli under 45 sono tornati a crescere (per la prima volta in 10 anni), i giovanissimi continuano a mancare all’appello. Storia di una rivoluzione che non può fermarsi
Non c’è niente come il sangue che ci faccia impressione, nel bene e nel male. È simbolo di vita e di morte, identificazione dell’esistenza che scorre nel corpo e della sua precarietà. «Gli ho dato il mio sangue», «mi ha fatto sputare sangue». «Perdo tempo come si perde sangue» sono frasi comuni nella dialettica giornaliera.
La storia delle donazioni, corre su un binario parallelo a quello della medicina, come poche altre evidenzia ideali e orrori, usi e costumi, coraggio e paure della nostra società, e come questa stia cambiando. Si è calcolato che oggi nel mondo ogni 2 secondi qualcuno ha bisogno di sangue. La domanda di questo liquido rosso che ci tiene vivi è in continua crescita e l’offerta fatica a tenere il passo. I 1.870 pazienti che vengono trasfusi ogni giorno in Italia in un anno hanno bisogno di ricevere un fiume di 600 mila litri di globuli rossi e 1.100 mila litri di plasma.
Circa il 30% di PLASMA dev'essere importato dall’estero perché la raccolta nazionale non è sufficiente. Nelle sale operatorie degli ospedali italiani, soprattutto nei periodi estivi, non sono diventati rari i casi in cui si devono rinviare interventi per un numero non sufficiente di sacche di sangue a disposizione. Per ora, fortunatamente, solo quelli non urgenti. Nel nostro Paese si è inceppato il ricambio generazionale, indispensabile per garantire la continuità della raccolta.
I donatori, nella fascia di età tra i 18 e i 45 anni, dal 2011 al 2022, sono diminuiti da 1.094.436 unità a 844.286. Per fortuna i loro genitori, nonni e fratelli maggiori, dai 46 ai 65 anni, negli stessi anni sono aumentati da 623.134 a 787.716. Il bilancio è quindi rosso anche se nel 2023, per la prima volta in 10 anni, gli under 45 anni sono tornati ad aumentare di 7mila unità rispetto all’anno precedente.
La domanda di sangue è in ascesa. In Italia dalla metà degli anni 50 a oggi la domanda di sangue è triplicata. Per varie ragioni: l’età media della popolazione era circa la metà di quella di oggi e si è alzata a dismisura la soglia di età dei pazienti operati. Inoltre le nuove cure per le patologie di tipo onco-ematologiche, sia croniche che acute, richiedono una grande quantità di sangue e di plasma. Un altro capitolo rilevante della domanda sono i trapianti, che negli Anni 50 non si facevano: per uno di fegato la mediana è di sei sacche.
Nel nostro Paese a oggi l’obiettivo dell’autosufficienza in materia di plasmaderivati resta lontano. Tutto può servire per cercare di colmare questo vuoto. «Ho iniziato a donare alcuni anni fa dopo essermi fatto una domanda sul perché non dovevo farlo» racconta un donatore Avis divenuto donatore abituale «La risposta è stata semplice: “Perché no?”. Ogni volta che dono non so a chi servirà il mio sangue, ma so che servirà».
Le storie si intrecciano, e il destino ha gioco facile con i flussi di sangue. «Prima donavo a Pianezza, poi a Torino, ero ormai una donatrice più che “consolidata” quando nel 2017 mio padre si è ammalato e ha avuto bisogno di sangue» ricorda un'altra avisina «È accaduto proprio nei mesi estivi. Doveva fare trasfusioni tutti i giorni. È capitato che ha dovuto attendere anche una giornata intera in ospedale perché le sacche di sangue non c’erano e non arrivavano. In quel momento ho fatto appello a tutti: amici, familiari conoscenti perché donassero il sangue per mio padre. Questa esperienza ha rafforzato il mio “credo” verso la donazione. In questa circostanza ho toccato con mano le difficoltà di “approvvigionamento”».
Socialità e social. La zona d’ombra più fitta che preoccupa, soprattutto guardando al futuro, è quella dalla quale faticano a uscire giovani e giovanissimi. In una ricerca del 2023 commissionata da Avis al Laboratorio adolescenza, su un campione nazionale di giovani da 13 a 19 anni, alla domanda «pensi che quando avrai l’età per farlo (o se ce l’hai già) diventerai donatore di sangue?» solo il 13,6% risponde «certamente sì». Il 29,3% «non so, non ci ho ancora pensato» e il 21% «no, perché ho paura dell’ago/della vista del sangue».
«La nostra associazione è la più antica del mondo a radunare volontari che donano sangue, e riflette come uno specchio i cambiamenti della società. I motivi per cui ragazzi e giovani donano oggi meno sangue sono molti e complessi: intanto il loro numero si è ridotto, e poi diventano stabili e indipendenti in età molto più avanzata rispetto alle generazioni precedenti.
Nei decenni passati c’era più vita sociale: negli oratori, nei circoli e anche nelle case. Oggi le resistenze non sono tanto legate a una carenza di sensibilità, quanto a una mancanza di informazioni corrette, spesso non sono a conoscenza della realtà e hanno una percezione distorta del loro corpo. Cercano notizie solo sui social nei quali trovano conferme alle loro paure, e spesso i genitori non aiutano a rompere questi muri, spingendo i figli a verificare e confrontare le loro convinzioni; inoltre fanno una vita in parte distaccata dal presente, dalla socializzazione.
Chi ha fatto un tatuaggio dopo 4 mesi potrebbe andare a donare sangue, ma spesso dice che ha paura dell’ago. È un approccio alla realtà scostante, bipolare. Ci sono ricerche che mostrano come dai 13 ai 18 anni non abbiano alcuna idea dei pericoli che esistono nei rapporti sessuali a rischio, non sanno cosa sia l’Hiv, né l’epatite.
Il consumo di droghe e superalcolici, anche tra i giovanissimi, è in aumento e anche questo si scontra con la possibile idea di andare a fare donazioni. Bisogna raggiungerli nel loro mondo con tutti mezzi, c’è un grande lavoro di informazione da fare».
Al di là di questa inquietante scarsità di sangue giovane il nostro Paese non esce male dal confronto con gli altri. Anzi. «L’Italia è ancora un modello perché abbiamo una legge, unica al mondo, secondo la quale la donazione deve essere volontaria, gratuita, e avere una motivazione sociale. In altri Paesi, come per esempio in Germania, Austria e molti altri, quella del plasma da aferesi è a pagamento». Anche nel recente passato del Covid, sul fronte delle donazioni, si sono accese luci confortanti. «La cosa che ricordano i medici Avis di quei primi giorni tragici, è stata la quantità di sollecitazioni che abbiamo ricevuto dai nostri iscritti per avere il permesso di uscire per venire a donare sangue, di cui c’era un disperato bisogno. È stato grazie a loro che, in seguito all’accordo con il ministro della salute per autorizzare gli spostamenti in città dei donatori certificati, durante il lockdown abbiamo coniato il motto “Esco solo per donare”».